28 dic 2008

I best book 2008 nati in Oriente

Nelle classifiche di riviste letterarie, supplementi e siti Internet: in vetta Adiga, Gosh e Aslam

Occorrerebbe forse un anno intero per compulsare gli elenchi dei Migliori Libri dell’Anno (appena trascorso) con cui i giornali internazionali festeggiano, o infestano, il dicembre. Per distinguere fra bilanci letterari e consigli per gli acquisti, fra autorevolezza e markette. E figuriamoci quanto tempo ci vorrebbe per leggerli, quei libri, tutti ovviamente indispensabili e imprescindibili, almeno fino a dicembre prossimo.
Che la moda sia ormai mania, lo dimostrano gli elenchi di elenchi, meta-liste interminabili di link ai siti e ai giornali che a loro volta pubblicano best of editoriali, a requiem del 2008 (per i maniaci: ad esempio, su librarything.com). Bulimia. Non uguale ovunque, però, anzi soprattutto angloamericana. Tedeschi, spagnoli e francesi sono più morigerati, mentre i cinesi solitamente stilano questa classifica con calma, fra gennaio e febbraio, in prossimità del capodanno loro.
In compenso, è già apparsa quella degli scrittori cinesi che hanno guadagnato di più nel 2008, e anche questo è un bilancio di fine anno: in testa c’è Guo Jingming con 13 milioni di yuan, trionfano gli autori per bambini e cosiddetti young adults ovvero ragazzini e soprattutto ragazzine, anche perché oltre ai libri pubblicano popolarissime riviste (tale Sharon, per esempio, è quarta per reddito). Il giornalista del Chengdu Business News che compila questa ormai celebre lista, le affianca la top ten dei migliori scrittori cinesi secondo i più autorevoli critici letterari: neanche un nome coincide.
Ma cosa significa invece, sempre nel cruciale e scivoloso ambito della distinzione fra quantità e qualità, se la più commerciale delle librerie e la più sofisticata delle riviste eleggono a migliore dell’anno lo stesso libro? Scrive Amazon.com: «il nostro preferito è The Northern Clemency di Philip Hensher... Appagante romanzone su due famiglie dello Sheffield negli anni fra i 70 e i 90, The Northern Clemency riempie le vite di una dozzina di caratteri con immaginazione e osservazioni che ricordano, per brillantezza, Le correzioni o Della bellezza» (seguono, prudenzialmente, altre 99 segnalazioni, per i clienti che ignorano chi siano Jonathan Franzen o Zadie Smith). Laura Miller sulla rivista online Salon.com sembra che parli di tutt’altro libro («un archetipico terreno onirico...»), però lo incastona anche lei fra gli imperdibili.
Vediamo se fanno altrettanto i giornali inglesi, visto che Philip Hensher è appunto inglese, finalista al Booker Prize, columnist dell’Independent, recensore per The Spectator, premiato da Granta, e insomma crema della crema letteraria british.
Ebbene. Elegantemente, il suo giornale non lo cita fra i venti libri dell’anno: che sono qui suddivisi per categorie, dalla narrativa inglese «vinta» da Kureishi a «Big Ideas», con The Oxford Book of Modern Science Writing curato da Richard Dawkins, passando per il naturalistico Consider the Birds di Colin Tudge che è il preferito anche della testata rivale The Guardian. Ma neppure Granta nomina il povero Hensher, né fra gli autori di libri raccomandabili né fra gli scrittori interpellati perché raccomandino libri, possibilmente altrui.
E qui si spalanca un sottogenere, all’interno degli elenchi natalizi. Quello dei dispensatori di consigli di lettura, in tutta la gamma che va dagli esimi critici letterari fino alla stellina televisiva intervistata perché passava di là, o aveva il telefonino acceso.
Azzardiamo un teorema: l’autorevolezza di una testata è inversamente proporzionale alla vipperia che convoca. L’Observer, tanto per non fare nomi, ha raccolto le segnalazioni del ministro dei Trasporti, di tre chef, un archeologo, un’erborista, un architetto (d’accordo, è Norman Foster), un generale, qualche presentatore televisivo, un avvocato, e di Georgina Baille leader delle «Satanic Sluts» nonché protagonista del prontamente dimenticato scandalo della telefonata oscena alla Bbc.
Perché tanta dovizia di biblioconsigliatori? Come scrive fra il satirico e lo sconsolato Daniel Soar sulla London Review of Books, «chi verifica che tutta questa gente creda davvero che i libri che segnala siano buoni, o che li abbia almeno letti?».
La scelta è fra minimalismo autorevole (il New York Times pubblica da un secolo un elenco redazionale dei cento migliori, in ordine alfabetico, seccamente descrittivo) e brillantezza vera o presunta.
Naturalmente le cose cambiano se «tutta questa gente» consiste in scrittori. Così fa Granta, e scorrere i consigli di Richard Ford o di Junot Diaz o di Rick Moody significa, per noi ai margini dell’impero editoriale angloamericano, vedere in anticipo che cosa leggeremo in traduzione fra qualche mese, o che cosa non leggeremo mai in italiano.
Anche El Cultural, supplemento del Mundo, interpella intellettuali, che con le loro segnalazioni spaziano da John Fante a Loretta Napoleoni. E questo è il bello.
Ancorché frastornante, questa passeggiata fra i giornali natalizi stranieri ha il pregio di dimostrare, più che in qualsiasi altro periodo dell’anno, che «libro» significa tutto e niente, è una parola-valigia adatta al racconto sopraffino così come alle memorie del calciatore, al classico immortale o al manualetto di giardinaggio: una biodiversità da difendere.
Il Times prova a farlo combinando due metodi diversi, la selezione rigorosa e la vetrina sterminata. Funziona. Da un lato elenca centinaia di novità, in tutti i settori dalla politica all’arte alla memorialistica. Dall’altro sceglie le dieci davvero essenziali, includendo Dreams from my Father dell’esordiente Barack Obama. Ovviamente, i giornali angloamericani guardano ormai a tutta l’editoria di lingua inglese, di là segnalano l’inglese Hensher, di qua prediligono l’americano Joseph O’Neill con Netherland, acclamatissimo romanzo sul cricket e su New York dopo l’11 settembre, sembrerebbe la quintessenza del «glocal» eppure entusiasma anche altrove.
Perché forse perfino qualcosa di marginale come gli elenchi giornalistici dei migliori libri 2008 intercetta la megaverità planetaria: i giochi sono senza frontiere, e non soltanto quelli letterari.
In Francia, Lire seleziona come miglior romanzo francese Ce que le jour doit à la nuit dell’algerino Yasmina Khadra. In Gran Bretagna, dal Financial Times in giù tutti acclamano La tigre bianca dell’indiano Aravind Adiga. E in quegli Stati Uniti dove è tradotto da altre lingue un miserabile 3% dei libri pubblicati, la sensazione dell’anno è 2666 del cileno Roberto Bolaño.
Volendo fare una classifica delle classifiche, i nomi ricorrono (Adiga, Amitav Gosh, Nasreen Aslam, Toni Morrison): e il colore delle facce anche.

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